Cinque cerchi, cinque voci

Questo brano introduce una sezione dell’enciclopedico La bolla olimpica, volume curato da Silvio La Corte ed edito da Mimesis nell’autunno 2020.

Nel primo anno di avvicinamento ai XXV giochi olimpici invernali, la cabina di regia istituzionale ha individuato il CEO, varato la fondazione per gestire l’evento, promosso la legge olimpiadi con relative fideiussioni e individuato gli impianti da progettare o ammodernare. Dopo le celebrazioni di Losanna il disegno di Milano-Cortina 2026 si è fatto via via meno clamoroso, in parte per via dei duemila giorni che ci separano dall’appuntamento, certamente per la comodità di imprimere una cartolina univoca e festante di questa stagione di warm-up.
Sin dall’ufficializzazione della candidatura (ottobre 2018) diverse voci si sono levate per mettere in dubbio l’attualità, la sostenibilità e l’interesse di giochi disseminati lungo ben quattrocento chilometri di arco alpino. Tra queste voci, provenienti dal mondo dell’attivismo, delle professioni, della cura del territorio montano, della cultura e delle scienze, l’autore del libro ne ha selezionate cinque.

copertina del libro

Luca Trada è un “apeino” di Milano. Così, sin dal 1921, si definiscono gli appartenenti all’Associazione Proletaria Escursionisti. Il filone popolare degli sport di montagna, con tutti gli inciampi dovuti al ventennio prima e all’epoca dei consumi di massa poi, non è mai sparito del tutto e dal 2012 ha ritrovato nuova linfa, almeno nelle fila dell’A.P.E. A margine delle discipline escursionistiche ed alpinistiche quello apeino è anzitutto un approccio differente alle terre alte: uno sguardo severo sul turismo di consumo, sulle infrastrutture nocive ed imposte e in difesa dell’ambiente montano. La prima delle voci ci accompagnerà dunque alla scoperta di una storia minore, e certamente anni luce da un approccio agonistico e superomista, ma ricca di suggestioni nei confronti di un happening fatto anzitutto di bacini artificiali, drenaggio delle acque per l’innevamento artificiale, spostamenti veloci e massivi attraverso delicate vallate alpine.
Luciano Caveri, classe 1958, è un giornalista valdostano già deputato dell’Union Valdotaine e presidente di regione. Il suo contributo illustra anzitutto il valore che un intervento normativo e fiscale integrato restituirebbe ad un territorio unico come quello alpino, piuttosto di una periodica iniezione di contributi, fondata sulla logica dell’evento. Le sue parole sorvolano anche sulla necessaria dimensione transnazionale degli interventi e sulle forme di autonomia locale di cui le regioni frontaliere potrebbero e dovrebbero beneficiare.
Il cuore di questi cinque dialoghi è l’incontro con Patrizia Palonta. Patrizia, nella cornice del coordinamento donne di montagna propone una sorta di parallelismo tra la condizione femminile e quella dello spazio alpino. Condannate a ruoli precisi, a marginalità geografica, a ineluttabilità della propria posizione, queste figure possono riscattarsi anzitutto attraverso uno sguardo femminile e rizomatico, piuttosto che per emancipazione eterodiretta. Lo sguardo proiettato da Patrizia non è transalpino, piuttosto abbraccia l’impegno delle donne nelle montagne d’ogni latitudine.
Il quarto intervento porta la firma di Riccardo Carnovalini, camminatore. Riccardo, l’ho conosciuto in occasione di un piccolo e grazioso festival al Parco dell’Orecchiella. Ha percorso in lungo e in largo, in quota e in piano, per mari e monti, l’intero stivale per trent’anni. Lo ha fatto fotografando e descrivendo incessantemente i luoghi che incontrava. Questa umiltà emerge con limpidezza nel suo sguardo: spopolamento, transito, accoglienza, fatica, eccellenze locali, non sono che alcuni degli spunti che propone per un futuro poco chiassoso ma anche conviviale per la vita al cospetto di alpi ed appennini.
A conclusione di questa breve rassegna di voci laterali rispetto al tema “core” del volume, non poteva mancare un geopoeta. Davide Sapienza, giornalista ma soprattutto traduttore di Jack London (i cui racconti di fine secolo mi facevano sognare lo Yukon in adolescenza), non ha parole dolci per la montagna weekendista né di fiducia per i suoi amministratori ma apre uno spiraglio via via più ampio in direzione dell’incontro tra chi vi è nato e cresciuto con rispetto, ed i suoi più giovani e inesperti riabitanti. Un incontro non facile, questo è certo, ma al tempo stesso necessario per viverla a pieno, liberi dalle cartoline patinate di occhiali a specchio, divise tecniche e tristi impianti di deturpamento meccanizzato.

Milano, settembre 2020


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