Cop15: abbandonate ogni speranza voi che entrate!

Movimenti, green washing e global warming…appunti di ritorno dalla conferenza di Flopenhagen (dic 2009)

Cop15, o, per esteso, quindicesima conferenza delle parti. Tanto per essere chiari: le “parti” sono le nazioni aderenti all’O.N.U. e la conferenza, tenutasi in quel di Copenhagen tra il 9 e il 18 dicembre 2009, si preannunciava come l’appuntamento più atteso di sempre sul tema della lotta ai cambiamenti climatici.
Sotto il profilo narrativo sarebbe elegante affermare che Cop15 non ha tradito le aspettative di quanti credevano nella possibilità di una svolta green dell’economia globale: la favola della green economy (malcelata dal paravento della responsabilità sociale d’impresa) l’abbiamo già conosciuta, e a dirla tutta puzza di grande presa per il culo. In tempi di crisi non solo finanziaria ma innanzitutto energetica, alimentare e climatica, chi vive sperando muore…non c’è Hopenhagen che tenga. A distanza di poche settimane il bilancio sul tanto atteso accordo postKyoto è unanime e scoraggiante: Copenhagen si è rivelata un fallimento di grande impatto mediatico.

La prima sfida della carovana milanese di VersusCop151, raggiungere il suolo nordico bypassando il richiamo dei seducenti voli lowcost, è vinta dopo venti ore di pullman attraverso una Germania fredda, ventosa e costellata di pale eoliche. Il mito della Comunità Europea s’infrange ad ogni posto di blocco: in occasione di grandi vertici, e si presume di grandi decisioni, il trattato di Schengen viene sospeso…ed ogni frontiera vale un paio di sospiri, ogni passaggio segna una tappa di avvicinamento al controvertice.
Altri attivisti hanno raggiunto la città con pullmini, in aereo o con semplici passaggi in macchina, solo quelli italiani sono oltre quattrocento e in moltissimi sono alloggiati a Ragnildgade2, complesso industriale oggi in disuso, nella periferia a nord di Nørrebro.

Non c’è tempo per ambientarsi che le giornate si susseguono freneticamente: il 12 dicembre, mentre da Milano ci giunge notizia di una Piazza Fontana blindata e poi liberata, siamo oltre 70000 in corteo, la giornata di mobilitazione più ampia e partecipata della settimana tiene dentro tutte le anime dell’opposizione al vertice ufficiale. Dalle grandi lobby ambientaliste all’autogestione, passando per le rappresentanti della sinistra europea più radicale e per le cento anime che hanno determinato l’apertura di un ponte tra l’interno e l’esterno del forum:
tutti sfilano in direzione del Bella Center. CJA e CJN3, il cuore dell’autorganizzazione, hanno promosso uno spezzone il cui slogan racchiude uno dei temi portanti dell’appuntamento danese: SYSTEM CHANGE NOT CLIMATE CHANGE.
Nei giorni seguenti la critica all’idea di risolvere i problemi determinati dagli impatti umani con soluzioni tecniche ed impolitiche si fa serrata, ed investe ogni giorno un tema peculiare: “Hit the production”, il 13 dicembre l’azione, promossa anche da Never Trust A Cop, si sposta al porto della città: uno dei più invasivi ed inquinanti d’Europa. In contemporanea CJN prende parola, ed è ancora una volta “Rithms of Resistance”, il network internazionale delle samba band, a dare vigore e coraggio al corteo, in particolare “Via Campesina” guida la testa del corteo fino al Klima Forum4, luogo di elaborazione e dibattito alternativo all’incontro ufficiale delle delegazioni governative intervenute a Cop15.
Il giorno successivo, lunedì 14, è la giornata No Border. Si parla di antirazzismo e di confini, alle soglie di una fortezza europa in forte imbarazzo energetico e demografico di fronte alle potenze emergenti dell’est e del sud del globo. Il corteo organizzato da CJA vive momenti di tensione palpabile perchè dopo gli arresti, a centinaia nei primi giorni di iniziative, alcuni degli attivisti più esposti sono stati arrestati, anche preventivamente, o con l’accusa di istigazione a delinquere. Il comportamento della polizia danese è chirurgico e dilagante al tempo stesso, tutto avviene con grande tranquillità ma gli arresti sono centinaia e gli attivisti vengono tradotti in una palestra attrezzata per l’occasione, non mancheranno comunque casi di maltrattamento e minaccia; al termine della settimana il conteggio di fermi e arresti sfiorerà quota 1800. Intorno alle tredici e trenta il corteo arriva di fronte al ministero della difesa e un gigantesco pallone sponsorizzato dalle stesse corporations che ci inquinano ogni giorno viene divelto e trascinato per centinaia di metri; quei quindici minuti di festa e ribellione, accompagnati dai ritmi della samba band e dalle corse per il centro città, rappresentano una delle immagini simbolo di questa intensa settimana.

In serata, al termine della presentazione dell’azione che caratterizzerà la giornata conclusiva della settimana, un nutrito gruppo di black si scontra con la polizia nei pressi di Christiania, storico quartiere autonomo ed occupato della città. La reazione questa volta è impressionante, il suo obiettivo chiarissimo: ancora trecento arresti (in buona parte eseguiti all’interno di Christiania per mezzo del sofisticato metodo “a casaccio”), con il chiaro intento di smorzare la determinazione all’azione. Per il 16, ultima giornata di mobilitazioni, tutti si concentrano
attorno ad un’unica azione di massa: RECLAIM POWER.
Pushing: premere per entrare. Difficile immaginare messaggio più diretto nei confronti della riunione di delegati (da chi?) della Cop. Il corteo si snoda dalla già periferica fermata della metro di Tårnby, tutto attorno al corteo centinaia di poliziotti schierati, subito all’esterno un freddo scenario suburbano. La pressione nei cordoni aumenta, improvvisa, quando scorgiamo il Bella Center, si compattano le anime pink come la testa approntata per il pushing, la clown army lavora per smorzare la tensione, i cori crescono di volume ed intensità.
Il desiderio di prendere parola è forte ma la blindatura poliziesca (cani al guinzaglio e spray urticante alla mano) può più della strategia messa in campo dalle reti di attivisti accorsi in città: il bike block è caricato e disperso. Il blocco verde, quello degli attivisti organizzati per scavalcare lateralmente le recinzioni e disperdere le attenzioni repressive viene presto chiuso ed i suoi partecipanti fermati.
La spinta propulsiva che ha portato alla delegittimazione del forum è un obiettivo rilevante e, in buona misura, raggiunto. La spinta propulsiva dei movimenti intervenuti a Copenhagen, caratterizzata da azioni pink e di disobbedienza civile diffusa così come dall’azione diretta e da atti di blando sabotaggio, s’infrange però nel confronto con una gestione di piazza inquietante ed una cittadinanza danese spesso sopita. Se è vero che c’è del marcio in Danimarca, è anche vero che mentre i riflettori degli altri paesi europei erano tutti puntati sulla farsa di un vertice conclusosi settimane prima del suo inizio (si pensi al G2 USACina), nell’Italia di White Christmas è bastata una statuetta di marmo a distogliere l’attenzione dei media dalla risoluzione delle grandi sfide che ci attendono tutti.

In parecchi guardavano alle giornate di dicembre come ad una grande occasione costituente per i movimenti promotori di una critica antisistemica, ecologista ed emergente dal basso. Di sicuro, nell’esperienza di chi ha vissuto quei giorni, resta la sensazione di aver contribuito a riscaldare la fredda Copenhagen ed il piacere di aver svelato alle telecamere di tutto il mondo puntate sulla città l’incapacità delle grandi potenze mondiali e l’irresponsabilità delle lobby affaristiche che le manovrano.
Se con la giusta vernice si può dipingere di verde uno sporco affare come con una superfici
da celare, con il giusto solvente ed una buona raspa se ne può svelare la natura più cruda ed autentica. Ora che tutto è messo a nudo non occorre che mettersi in cerca.


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