Apparso su A/Rivista n. 429 (novembre 2018)
Tra un anno, a Milano, il CIO dovrà assegnare i “giochi” del 2026: un grande-evento lungo quanto l’arco alpino che ne soffrirà la realizzazione. E se il buongiorno si vede dal mattino…
Un dato, più di ogni altro, può essere utile per capire le Olimpiadi 2026 di cui è saturo il palleggio mediatico in queste settimane. Non riguarda un atleta chiacchierato né un record imbattuto, non racconta di sport ma, una volta tanto, nemmeno di “location” mondane. La cosa più curiosa riguarda entrambe le edizioni più prossime all’edizione per cui il CONI ha candidato il ticket Milano-Cortina. Tanto per il 2024, quanto per il 2028, le città di Parigi e Los Angeles hanno ottenuto “a tavolino” i giochi olimpici, semplicemente perché non c’era una sola città disponibile a partecipare alla sfida per l’assegnazione. Per la sola edizione 2024 la nota defezione capitolina è in buona compagnia tra Budapest, Boston, Amburgo e Madrid: le Olimpiadi sono diventate un grande-evento indesiderabile.
I più attenti, per il gusto del carteggio, potrebbero ribattere che non si possono mettere assieme le grandi olimpiadi estive con le “piccole” invernali (giusto 6 sport e 15 discipline a preventivo). Giusto: diversi i costi, il numero di sport e di paesi partecipanti, la durata stessa dei giochi ne chiariscono il diverso peso. Eppure ci dev’esere un motivo per cui tutte le città che avevano inizialmente manifestato il proprio interesse per la kermesse sportiva (tra le altre Salt Lake City, Barcellona, Oslo, Tokyo..) hanno via via abbandonato il progetto. Non è un caso se nel solo 2018 prima Sion (giugno) quindi Graz (luglio) e infine Sapporo (settembre) abbiano abbandonato passo dopo passo la competizione.
Il tam tam della candidatura tricolore per i giochi invernali del 2026 comincia in sordina a fine 2017, quando per la prima volta Beppe Sala (sindaco di Milano e uomo forte di Expo 2015) manifesta un primo interessamento della città per il tema. Il ricordo del dietro-front capitolino era troppo fresco per affrontare con serenità il tema. Per mesi cala un sostanziale silenzio stampa. Il ritorno di fiamma arriva in primavera con la manifestazione d’interesse di Torino, ancora Milano e la new entry Cortina. Nelle stesse settimane una sofferta riforma dello sport prende forma nei palazzi romani, dove il presidente del CONI Malagò e il governo giallo-verde si misurano non senza diffidenza. L’esito provvisorio della stagione balneare alle nostre spalle è la bislacca candidatura Milano-Torino-Cortina, destinata a sfumare nel mese di settembre per eccesso di campanilismo e assenza di fiducia reciproca tra gli attori coinvolti nella partita.
Uno sguardo al futuro: il prossimo 19 settembre l’aggiudicazione ufficiale dell’edizione 2026 era calendarizzata giusto a Milano. Da regolamento CIO si profilava quindi un conflitto d’interesse non da poco, visto che la città ospitante sarebbe stata tra le (poche) candidate sopravvissute alle consultazioni pubbliche e alle tanto acclamate analisi di costi e benefici. Se la disponibilità del CIO a derogare alla consuetudine era conclamata nella fase della candidatura a tre teste, questa volta il CIO ha scelto la via della mediazione e del profilo basso, spostando a Losanna l’appuntamento del settembre 2019.
Chi sono le altre fortunate? Anzitutto la città turca di Erzurum, squalificata agli occhi degli osservatori dalle tensioni sociali, orchestrate dalla longa manus del sultano Erdogan. La medaglia d’argento va di diritto alla canadese Calgary, dove pure è in programma una consultazione pubblica e dove è attiva la campagna http://nocalgaryolympics.org/. In vetta al podio delle concorrenti c’è poi la svedese Stoccolma, recentemente funestata da una tornata elettorale al cardiopalma (almeno per gli affezionati al genere horror) e decisamente tentata dall’exit-strategy che ha già visto anche la capitale norvegese fare un passo indietro.
Le Olimpiadi, come l’Expo, si fanno per valorizzare il brand e oggi la gente di tutto il mondo non si ricorda dell’Expo di Milano sostenibile, pur essendolo stata, ma dell’Expo associata al brand di Milano.
Con queste parole, mentre tramontava la cordata e la sintonia con Chiara Appendino, il sindaco di Milano ha chiarito con essenzialità e onestà gli obiettivi della candidatura meneghina ad ospitare l’evento. La metropoli, per sopravvivere sull’agone globale, deve competere a colpi di visibilità internazionale, appetibilità turistica e periodiche iniezioni di capitale, media e visitatori. Questa progressione per strappi genera fisiologicamente un forte stress alla città pubblica (oltre che alle maglie del diritto, in ossequio alla logica commissariale) e agli abitanti della città; in questa postura coesistono dunque i punti di forza e di crisi del territorio. Indebitamento pubblico, lavoro sotto o non retribuito, infrastrutture sovradimensionate, sono gli indicatori tipici di questa frizione democratica.
Quanto costano i giochi olimpici invernali? le risposte possibili sono (almeno) tre. La prima: 400 milioni di euro circa, almeno così dicono i protagonisti istituzionali della vicenda cui fa eco la stampa credulona. La seconda 1,5 miliardi di euro, è la cifra che proviene dalla somma della prima versione alla quota (1 miliardo ca.) che metterebbe il CIO e che proviene sostanzialmente dai diritti televisivi (che poi nel nostro caso provengono nuovamente dalle casse pubbliche attraverso la RAI, penseranno i più maliziosi) con una quota minore di sponsorizzazioni. La terza ipotesi di lavoro procede invece a partire dalla curva storica che precede questo appassionante happening: negli ultimi 50 anni il costo preventivato è lievitato, in media, del 176% (Oxford, giugno 2012). Non è sufficiente? basti ricordare che l’ultima edizione in cui la spesa non ha superato i due miliardi di dollari fu quella di Lillehammer, correva l’anno 1994.
Tornando ai giorni nostri sono però altri due gli aspetti che non hanno, sin qui, raccolto la necessaria attenzione: la dimensione diffusa dell’evento e l’eredità di Torino 2006. Il lemma sostenibile, definitivamente e drammaticamente svuotato di senso, è un attributo buono per ogni stagione al tempo della crisi ecologica irreversibile. Eppure usarlo per illustrare un evento che porta il nome di una città di pianura e i cui campi da gioco sono sparsi lungo 500 chilometri di arco alpino ha del temerario. Alcuni esempi? Sci di fondo in Valtellina, freestyle a Livigno, snowboard a Bormio con villaggio olimpico e media center, ancora un media center a Trento mentre sul biathlon discute. Non è tutto: se in Val di Fiemme sono previste combinata nordica, salto dal trampolino e villaggio olimpico, ci portiamo a Cortina per quel che concerne skeleton, sci alpino, bob, slittino con l’inevitabile corredo di hotel, villaggio olimpico e nuovamente un media center. A Milano, 40 chilometri dalle Prealpi, già si pensa ad ospitare curling, pattinaggio artistico, hockey, short track e pattinaggio di velocità. Inutile aggiungere che qui sono previsti anche gli ampliamenti degli impianti esistenti (palalido, palasharp..) e una pioggia di investimenti per un totale di 30 mila posti per gli spettatori e almemo 30 milioni di euro di impianti sportivi. A questi si devono poi sommare gli interventi in Fiera, Scalo Romana, Meazza e nelle fan zone diffuse nelle piazze blasonate della città. I costi? Presto per dirlo. Il dossier? Ancora non pervenuto.
Sin qui abbiamo suggerito costi e luoghi. Resta da definire il “chi”. Il governo ha più volte ribadito che fornirà legittimità alla candidatura ma non la copertura economica, una mossa che ha avuto il duplice effetto di affossare il piano B della città di Torino e dare spinta alle regioni Veneto e Lombardia in quota Lega per divenire i veri garanti dell’investimento, almeno in termini di promessa. Superfluo sottolineare che il sindaco Beppe Sala si è volentieri prestato al gioco. Ultimo in ordine d’ingresso e entrato in partita l’Istituto del credito sportivo (partecipato fondamentalmente da MEF e CONI a copertura dei prestiti necessari. C’è anche da dire che nessuno dei protagonisti del dibattito ricoprirà l’attuale carica di qui ai prossimi 8 anni ed è decisa,me è presto per dare alle parole della fase preliminare il peso che meriterebbero.
É in questo quadro che dobbiamo immaginare una fase breve di un anno, utile a confezionare una candidatura credibile, dopo gli inciampi del 2018, ed eventualmente, quando i giochi fossero effettivamente assegnati allo stivale, un osservatorio per comprendere e svelare cosa i giochi olimpici ci possono raccontare del paese che verrà, delle sue montagne, del tasso di mercificazione che sta asfissiando la pratica sportiva. Il traguardo di questa sfida sarà calendarizzato al 2019 o al 2026? Se non vogliamo che la scure cali silenziosa sui territori e sulle comunità toccate dall’evento un esercizio di contronarrazione non sarà sufficiente.